Carmen

(Qattro raconti erotici e 44 non sui tempi che non esistono più)


Alzo la cornetta.

- allo?

- Monsieur Yann?

- c’est bien lui.

- sono Carmen, telefono della parte di K, ho una lettera per Lei. La voce era simpatica, un poco annebbiata, un poco nasale, ma insomma positiva.

- qual K?

- K.X.

- ah.

- sono solo per qualche ora a Bruxelles, domani vado via. Vorrei consegnarle questa lettera.

- quando?

-anche subito, se si può.

Guardò l’orologio. Erano le sei del pomeriggio, Venerdì. Aveva tanto da fare questa sera.

- ce l’ha un albergo prenotato?

- si, ce l’ho.

- allora, mi potrebbe lasciare la busta alla ricezione, al mio nome, ho da fare adesso…

Diventò triste.

- insisteva poiché gli consegnassi questa lettera personalmente…

Accidenti, si disse. Odiava tutte queste lettere, pacchetti, domande di arrangiare questo e quello. Non si sentiva lo Zio Sam. A quello spedire una maglia, ad un altro trovare le scarpe, una cerca i clips, un’altra una stoffa per pellicce. Verosimilmente amici o famiglia. E più spesso famiglie di conoscenti, e conoscenti della famiglia. Porca puttana! Rubano il mio tempo, mi prendono di sorpresa, e se non arrangio le cose, precisamente come mi è richiesto, ti mettono le etichette che sei un cafone e che l’acqua gasata ti è salita nella testa.

Una volta, qualcuno della famiglia vicina l’aveva chiesto di mandare un giocattolo: una radio nascosta nella pancia di orsetto. Perché è diventato di moda. In paese loro. Lì, questa moda è passata parecchi anni fa. Ha perso parecchio tempo, finalmente in un negozio condannato da Dio e Lucifero, nella zona periferica della zona periferica ha trovato questa radio nascosta. Non nella pancia dell’orso ma dell’elefante. Felice, mando il pacco e dimentico. Qualche settimana dopo riceve una lettera con i ringraziamenti, ma né una parola su l’aspetto economico e piccola osservazione, che sarebbe, meglio, se fosse l’orso, quindi, se possibile, un'altra volta….

- dove sta adesso?

- nel bar R.

- ci sarò fra tre quarti d’ora.

- aspetterò, nella sua voce suonava il sollievo.

Sistemò la carta con i pentagrammi, mise una giacca, c’era già il soffio dell’autunno sopra la città, entrò nella macchina parcheggiata d’avanti alla casa. A quell’ora, la gente stanca, andava via, dagli uffici, scuole, negozi, tornava alle proprie villette tra alberi, giardini e campi. L’autostrada a tre corsie avanzava come tre bruchi. Così gli sembrava a Lui, che andava da solo, veloce, verso il centro. Abitavano non lontano dall’autostrada, talvolta sentivano la pure, quando il vento fischiava dall’est. Passava sopra le ville, sopra i campi, sboccava su di loro, un po’ di più ancora, e si calmava nel vecchio bosco. Lì, sprofondava tra gli alberi e cespugli, raccontava cosa aveva visto, cosa aveva sentito. Gli alberi lo ascoltavano con pazienza e curiosità.

Il bar R, conosciuto e simpatico, si trovava proprio nel centro storico. Con la macchina non ci si arrivava. Solo a piedi. Non perdendo tempo a trovare l’introvabile, o meglio il posto libero al limite della zona pedonale, entrò nel garage a molti piani abitava in fianco di quello, tempo prima. Dal livello superiore, aperto, si avviava la vista sulla città. Sembrava non finire mai. Tetti, case, chiese, vie, parchi. Il rumore constante era sospeso nel’aria. Non minacciava, faceva parte dell’immagine. Sceso con l’ascensore, camminò poche centinaia di metri tra i ristoranti colorati, macchiati, con le tavole sistemate sull’ex-via, adesso pedonale, con le colonie di pesci, crostaci, calamari, gamberi; già ostriche e vongole sulle montagne di ghiaccio friabile - perché le ostriche si mangiano solo durante i mesi con il “r”, in francese ovviamente, quindi settembre, ottobre e così via - con la pubblicità stampata e scritta con le grandi lettere in rosso, con i menu giornalieri che questo e quello costa un tot, e con camerieri con semi - grembiali bianchi, che invitavano i passanti ad entrare. Caos, ricchezza, aggressività.

Si sentiva la carne arrosta, il pesce, la menta d’avanti al ristorante arabo, l’olio fritto davanti al cinese ed il café di recente bruciato, passando a fianco del bar brasiliano. A lato maturava il kebab.

Passò al fronte di due italiani e spinge il portone del bar R. Vecchie, pesanti e screpolate tavole ricordavano l’anziana grandezza. Lugubri e scomode panche rinforzavano i muri, le sedie gravide accumulavano verso il centro della sala. Anche non volendo si pensava alle gilde, Mare del Nord e velieri commerciali. Il bar era pressoché vuoto, alcuni assidui, dietro i giornali di mattina, erano spariti schiacciati da maestà di vecchie pistole, spade, cerchi di timone sospesi sulle alte pareti e circoscritti dal soffitto di legno, diviso dai quadretti convessi. Si ricordò del castello Wawel in Cracovia.

Nell’angolo più lontano, sotto lampada giallastra, era seduta una persona e leggeva. Non aveva visto nessun’altra donna. Quindi era lei. Si avvicinò. Era giovane e carina. Capelli scuri, occhi scuri, lunge mani di razza. Quanti anni poteva avere? Vicino trenta? Un poco di meno?

- sono Yann, buona serra.

Lei si alzò, stringe la mano. Alta e snella, osservò.

- già pensavo che non venisse più. Disse Lei

- ci siamo dati un appuntamento. Verificò sull’orologio. – sono puntuale.

- avevo paura, che non venisse più. Sorride tristemente. 

- Ho sempre paura, che qualcuno, che aspetto, non viene…

Si siede. 

Lui la guardò attentamente, adesso di sopra. Aveva i tratti molto regolari, forse leggermente troppo quadrati ed il fronte eccessivamente alto. Il suo viso non era aperto, faceva l’impressione di cercare un appoggio. Vestita modestamente ma con eleganza. 

Mette la mano nella borsetta.

- ecco. La sua lettera. 

Lui strappò la busta, legge: “Ciao amico, aiuti questa ragazza. Non ti pentirai. K.” K era un matto, si conoscevano e apprezzavano da sempre, ma mai ancora K non gli scrisse qualcosa di simile. Che vuole dire “non ti pentirai?”

Sollevò lo sguardo su di lei

- che cosa posso fare pere te?

- non lo so. Probabilmente niente, come nessuno. Rispose lentamente.

Yann sorride.

- non so niente su di te. Che cosa fai nella vita?

Si siede ora al tavolo. Subito arrivò la cameriera. Stanca, sorrideva professionalmente, aveva una cuffia bianca e poco fresca sui capelli.

- une petite blonde, s’il vous plaît.

- adesso sono qui, fin domani. Disse con calma.

- Domani sarò altrove. Spesso sono indomani altrove. 

- hai cenato già? Si prese cura di lei.

- un panino in mezzogiorno. Ma io mangio poco.

Rispondeva come si avessero conosciuti da lungo tempo. Spargeva intorno a se questi quelli particolari di una donna, ai quali era sensibilissimo. La naturalezza, il calore e questo presentimento dei giusti equilibri in resoconto ad un uomo. 

Un altro tipo di donne, vicino di quali non poteva passare indifferente, erano delle vere e cagne con intelligenza. Ogni volta pagava il prezzo elevato di questa debolezza. E come una farfalla di notte entrava a bruciarsi nel fuoco, ad ogni futura occasione. 

- andiamo mangiare un boccone?

- va bene, ma non ho molti soldi.

Ragazza, in qual mondo giri? Con la tua bellezza, le porte di migliori ristoranti dovrebbero aprirsi davanti a te, da soli! Così pensò, ma non aprì la bocca. Lei capì il silenzio.

- io pago sempre per me.

- ma non nella mia compagnia. 

Fini la birra, diede un’occhiata sui due conti, lasciò i soldi sulla tavola. Lei non disse niente.

Uscirono.

- qual tipo di cucina vorresti? Chiese imprudentemente. 

- buona.

Voleva tornare dominante:

- ultimamente non hai mangiato la cucina di qual paese?

- di tutti.

Ora Lui non sorrideva più. Furba piccola, pensò.

- ci troviamo nel centro super turistico. Non si mangia il meglio lì. Andiamo d’altrove, va bene?

- a casa tua? chiese Lei con indifferenza.

- ti succede spesso d’essere invitata dagli uomini sconosciuti a casa loro? Lui fece una rivincita.

- si, assai spesso, ma di solito non vado a caso loro.

- di solito?

- di solito.

- ed oggi?

- oggi ho un albergo.

- e se non l’avessi avuto?

- perché me torturi? Appena mi conosci e già me tormenti. Tutti siete uguali. Non so, se io andassi a casa tua e poi rimanessi per la notte, probabilmente no. 

Aveva smesso di parlare, anche Lui.. Veramente non sapeva come doveva comportarsi. Ho sbagliato la strada, pensò. 

Aveva interrotto il silenzio imbarazzante solo nell’ascensore del parcheggio.

- invita me per un buono steak frittes, ti prego. - Sarò gentile, aggiunse. 

A tavolo Lei raccontava ben poco di se, e soltanto quello, che illustrava la conversazione. Anche in questo gli sembrava affascinante. Sorgeva la birra con piccoli sorsi e teneva il boccale con le due mani, l’impugnatura all’esterno. Diceva, che è stata arrivata da Parigi per incontrarlo. Ma Lui non aveva capito l’appello di K, non vedeva quindi come potrebbe aiutarla. Chiese direttamente.

- ora, non puoi niente, ti chiamerò.

La accompagnò al albergo. Buono e costoso. Lei anticipò la sua domanda:

- ho paura degli alberghi economici.

- hai dei ricordi poco buoni? Sapeva, che stava facendo una gaffe dopo l’altra. Proprio veramente non sapeva come doveva comportarsi in confronto a questa ragazza.

- si, ma anche nei buoni mi succede d’essere triste…

D’avanti all’ingresso gli do la mano:

- quindi ciao, ti ringrazio per la serata così simpatica.

Non basta che non so come comportarmi e che non capisco nulla, ma ancora lei mi prende in giro. I suoi pensieri giravano velocemente, ma nessuno suggeriva una domanda ragionevole oppure una frase che avrebbe permesso di continuare la conversazione.

- a che ore parte il tuo aereo domani?. Passerò portate a Zaventem. Quello, era un buon pretesto per non finire tutto ciò, che avrebbe potuto iniziare proprio adesso. 

- no, grazie. Già tutto è arrangiato. Talvolta anche io sono ben organizzata. Buonanotte.

- buonanotte.

Si girò nella porta:

- ti chiamerò.

Passo il tempo.

Il telefono ticchetterò, proprio, quando lavoravano simultaneamente i due magnetofoni ed il computer. Su una sola idea, ma ognuno per se. Non collegati. Il lavoro massacrante. Gestire tutti i tre nello stesso tempo, richiede una grande concentrazione. Ma era proprio questo, che lì piaceva. Normalmente, quando non era troppo stanco si difendeva bene. Ticchetterò un’altra volta.

- merde, avevo dimenticato di staccarlo! Lasciò gli apparecchi, corri ogni terzo scalino su, al primo piano, dove aveva l’ufficio. 

- allo?

Silenzio.

- allo?

- sei Tu?

- si, sono io, chi altro, Santo Spirito? Era poco simpatico, quando qualcuno gli disturbava il lavoro. – chi parla?, chiese in colera.

- sono io. Sei sempre così cattivo a quest’ora?

Conosceva la voce, ma a quale persona incollarla? A quest’ora tutti uomini sono cattivi. Lavorano, cioè combinano come sbrigarsi in un altro modo, forse meglio, sicuramente più in fretta, delle attività ripetitive del quotidiano. Non devono essere disturbati. Le Mamme, Sorelle, Mogli e Fidanzate lo sanno, tutte le altre no, ma possono fregarsene.

- sono io, Carmen, non mi hai riconosciuto?

- Carmen! Che gioia!

 Il ricordo del primo e l’unico appuntamento era tornato nella mente. Il bar R, il ristorantino regionale, il boccale di birra tenuto all’esterno… 

- Dio mio, Carmen! Dove sei?

- In Sicilia, lontano, al mare, sono qui, lavoro qualche ora al giorno, abito da sola…

- buon albergo? Ha interrotto.

- quasi. In un appartamento estivo, tutte le case sono vuote, l’estate se ne già andato... 

- quanto tempo rimani? 

- lungo tempo. Vieni, sono da sola e triste. Qua inizia l’autunno. Adesso ho veramente bisogno di Te.

- dammi Tuo telefono, Ti prego.

- non ce l’ho, scrivi l’indirizzo.

La sua prima lettera spedita in Sicilia era vaga, generica, prudente. Raccontava dei suoi problemi legati con il viaggio immediato. Chiedeva anche dì indirizzare le sue risposte su poste restante. La prima lettera di Lei era arruffata, scapigliata, caotica, cordiale, spiritosa, e manifestava una distanza verso il nuovo ambiente. Non parlava più dell’invito. 

Nella seconda lettera Lui ha messo l’accento sulla virtuosità. Formava le frasi leggere, abile, piene dei riferimenti e reticenze. Sentiva il piacere di scrivere così proprio a Lei. 

La nuova stagione sciistica si avvicinava a grandi passi, tra qualche settimana si sarebbe potuto sciare già nelle alte Alpi svizzere. La sua partenza con gli sci sul tetto della macchina non avrebbe svegliato i sospetti di nessuno. 

Propone un rendez-vous, a meta strada: a Milano. L’appuntamento è stato fissato per un venerdì, a mezzogiorno, all’aeroporto di Linate. Da lunedì sciava nei presi di Zermatt. Malgrado che avesse pausato da un anno, si sentiva in buona forma.  

Terreni assolutamente vuoti, non bene preparati, alcuni impianti chiusi. Quel fatto, che non aveva alcun’influenza sui prezzi degli abbonamenti. La neve gelata, compatta, aggressiva. Era tanto scarsa, che si doveva fare molta attenzione a quella superficie della terra nuda che si apriva al improvviso, e screpolava gli sci.  

Abitava nello chalet vuoto degli amici. Si nutriva con un qualsiasi cibo, principalmente la cioccolata. Faceva così freddo, che essa non fondeva e rimaneva dura nella tasca della tuta. Dopo ogni sforzo fisico il suo organismo violentemente richiedeva lo zucchero. Qualche anno prima, durante l’estate, nuotava molto nel mare Tirrenico. Fino ai dieci chilometri al giorno. Usciva dall’acqua con le gambe tremolante, toglieva la cuffia e occhiali, immediatamente divorava due, tre battone di cioccolata, morbidi e fondenti nel sole.

Quel venerdì era partito molto presto. Scendeva lentamente dietro del autobus postale. Era giallo e destava la confidenza. Le strade furono scivolose, strette e perciò molto lente. Solo nella valle poteva mettere la terza marcia. Bryg, una galleria con la Toyota sul treno, Domodossola. Le strade, orribilmente affollate, strettissime e malandate fino a Lago Maggiore, dopo, un poco migliori. Alla fine del faticoso viaggio fermata al bordo della pista in attesa dell’aereo di Catania.

Atterrò puntuale, carina, abbronzata, elegante, mondiale. La dissonanza visibile all’istante. Lui purtroppo con i vestiti di sciatore, comodi. Come mettersi a fianco di una Signora come lei? 

Si sono dati i baci sulle guance ed entrambi avevano capito, che, praticamente non si conoscono ancora e che l’uno all’altro dovrà spesso cedere, lasciare il passo, senno, niente avrebbe avuto un senso. E purtroppo ci sono incontrati poiché questo senso c’è. Ed era, nelle lettere, bensì solo sulla carta e non all’aeroporto, dal vivo, ma, pensava Lui, si potrebbe appoggiare su quello senso, pensava Lui, che si era manifestato nell’impazienza con la quale aspettava le lettere, ed il piacere della lettura. Sapeva che i piccoli dettagli aiutano molto in questi casi. E che si deve, al più presto vivere quei dettagli quotidiani insieme.

Lui girava spesso tra i diplomatici. Coctail, ricevimenti, garden party, brunch. Occorreva quindi parlare con loro, ma di che cosa? I Britannici, con questo terrificante accento in francese iniziavano dal meteo. I signori giravano immediatamente sulla caccia, i cavalli e la famiglia reale. 

Con i Francesi d’ambedue sesso bisognava partire dalla cucina. Si consideravano le autorità incontestabili nella materia, bastava dire qualcosa di cattivo circa un ristorante non francese e la conversazione partiva da sola. 

Con gli Scandinavi non sapeva conversare. Lo guardavano, sorridevano serenamente ma senza le conseguenze immediate. 

Gli Americani, se parlavano in inglese, soprattutto quelli nati più giù di Washington, semplicemente non lì capiva. Quindi diceva solo yes e of corse. 

Con i Tedeschi le cose variavano. Dipendeva con chi aveva da fare. Un arrivista di partito sentiva come Bockwurst mit Kartoffelsalad ed era difficile da digerire. Soprattutto quando produceva i suoni che erano previsti per manifestare la gioia.

Invece i rappresentanti delle vecchie famiglie gli facevano pensare ai simili polacchi. Malgrado così tante tragedie e le stupidità nel passato, mettendo da parte gli estremi, la maggior parte dei Polacchi e dei Tedeschi gira intorno ai valori comparabili. Si sentiva bene nella loro compagnia. 

In quei tempi il mondo era diviso radicalmente, ciò non aveva risparmiato anche la diplomazia. Non aveva alcun contatto con gli attachés ed ambasciatori che parlavano polacco, lituano, lettono, ucraino, estone, sloveno, slovacco, ungherese, bulgaro, rumeno, albanese. I Tagikistani, Georgiani, Aserbaigiani, Chirghisi, Mongoli, Ceceni, Usbechi, Armeni, Turkmeni, Yakuti sentiva solo nominare e raramente, talvolta leggeva su di loro qualche rigo in un giornale.

 Quindi chiese con un tono neutrale.

- hai fame?

 - no, grazie. Sei sempre così premuroso?

- ragazza, hai un vero talento di mettermi d’avanti alle domande che non hanno le risposte univoche. Si, succede che sono premuroso. 

Uscirono dall’aeroporto.

- la macchina sta un poco più in là, vedi gli sci sul tetto?

Tirava la sua valigia. Era pesante. Carmen avanzava sui tacchi alti, Lui con le scarpe da pallacanestro, erano quasi uguali di altezza. Mise il bagaglio sul sedile posteriore. Si sedettero, per la prima volta si guardano apertamente, sorrisero. La baciò, non la senti protestare, ma neanche partecipare.

- è la nostra prima volta, questo. Non devi essere così triste, succede….  

- dove mi porti ora?

- non abbiamo fissato i parametri dei vestiti nelle lettere… errore…. Io non ho niente di elegante, suppongo, che Tu non hai niente di sportivo. Io sarei buttato fuori da un quattro stelle di Milano, Tu non saresti accettata nella cabina di ovovia, perché faresti buchi nel pavimento, per non parlare della neve sulle piste…

- non mi piace l’inverno, non mi piace la neve, sento sempre freddo. Si rammaricò. 

Pagò il parcheggio, partirono.

- ma non mi portare nella montagna, adesso, Ti prego, vai dove vuoi, ma lì, in un luogo in cui non c’è freddo. Nella montagna fa sempre freddo…. 

- che ne pensi di un piccolo albergo al bordo di un lago? Ci sono parecchi nella prossimità di Bergamo. Ovviamente improvvisava, ma si ricordava, che in Italia, gli alberghi esistevano solo nei luoghi turistici, quindi anche nelle vicinanze dei laghi. Si deve solo cercare un po’.

Lei riflette.

- per me va bene, solo che deve essere caldo.

Lui attivò il riscaldamento della macchina. Avevano un’ora di autostrada prima di iniziare le ricerche. Carmen raccontava spontaneamente e di un modo interessante del suo lavoro, dei problemi con l’amministrazione locale, le storie delle figlie del suo datore di lavoro, dei giocatori americani di pallavolo, ammiratori di una notte delle figlie del padrone ed i problemi imprevisti che ne sono usciti, i quali problemi dovettero risolversi a Napoli, poiché l’Olanda è ancora più lontana.  

Dalla finestra del suo appartamentino, osservava le visite settimanali di un signore, vestito nero, che nella camera dietro il bar, per lungo tempo biascicava con il proprietario, chiacchierando tutti i due, dopodiché, il signore nero prendeva una larga busta e andava via. Non aveva paura della mafia locale, sapendo, che il suo lavoro era stato concordato lì, dove si arrangiano le robe del genere.

Piccole piacevolezze, piccole difficoltà, simpatiche chiacchierate. Si sentiva bene in sua presenza.

- quanto tempo rimani, in Italia?

- il contratto finisce entro maggio, se sopravvivrò così lungo…

- non capisco, perché?

- ho solo una piccola stuffetta elettrica, sento sempre freddo…. Triste...

Si girò verso di Lei, non scherzava. 

- ragazza, dove sei stata nata?

- nei tropici.

- sul serio?

- si, perciò gelo sempre.

Allora avremo da preoccuparci pensò Lui. In questo momento dell’anno, vale a dire tra i turisti estivi e invernali, gli alberghi risparmiano sul riscaldamento. Quelli con poche stelle, si capisce. E per le grandi costellazioni non ci sono né soldi, né vestiti.

Il vero problema, ecco. Amava spostare le singole parole all’interno delle frasi conosciute. Ad esempio: “d’Italia figli, si desta l’Italia”, “che stai nel cielo, Padre Nostro” . Osservava, in tali casi, come siamo abituati alle formule e come poco al loro contenuto.

Nel primo paese sulla riva del lago cercava quelli a “trestelline”. Erano tutti chiusi. Quelli, con il numero pari delle stelline, li evitava. Malgrado che in due di “quattro” vide le lampade accese dentro. Negli altri vicini, non fu differente. Entrare in entroterra non aveva molto senso, poiché gli alberghi non ci sono, e se ci sono, sono preparati per il mangime matrimoniale e per quello che succede dopo.

In un certo paese trovarono quello che avevano cercato. Era anche simpatico dall’esterno, ma quando entrano, senza bagagli ancora, e furono salutati da un portier vestito con una giacca pesante, si erano guardati in modo significativo. Lui con l’aria interrogativa, Carmen con una chiara immagine di panico negli occhi. Il Portier capi subito.

- il riscaldamento parte insieme con l’apertura del ristorante, alle sette.

- e la mattina? Chiese Lei con speranza mal nascosta. .

- le camere sono calde, rispose portier con sicurezza professionale. Vi do una al sud.

Lui ne aveva già abbastanza di questo viaggio e le ricerche, era sicuro che non avrebbero trovato niente di meglio. Ma preferiva pure, che fosse Lei a prendere la decisione.

- alors, qu’en pense Tu?

- ci daranno forse una stuffetta elettrica? 

- Nel nostro hotel osserviamo le normative europee, rispose il portier con dignità. Era basso, grassoccio, secondo l’accento veniva da Napoli o dalla zona. – la rete elettrica nelle camere non è prevista per supportare una tensione così grande…

Allora, come utilizzate gli aspirapolvere? Aveva questa frase alla fine della lingua, ma si fermò al momento giusto. I conflitti tra cliente e albergatore finiscono sempre con la sconfitta del cliente. D’un modo o d’un altro. Prese la chiave. La camera era come doveva essere. Scura, il pavimento di mattonelle, buco sotto la doccia. Proprio ideale, per raffreddarsi dopo il calore e per riposarsi nella penombra dopo il sole estivo. Tutti i due lo capirono subito. Carmen capì pure che non ci sarebbero state ulteriori ricerche. Apri l’armadio, tirò fuori due coperte.

- le requisisco tutte e due.

Disfecero i bagagli. Rimase del tempo libero, poiché per la cena era troppo presto. Normalmente, in casi simili, si sa bene, cosa si fa. E vero, che solo da quattro stelle in poi, il personale appare nella camera ogni ora, per correggere ogni invisibile dettaglio, togliere ogni grammo di polvere, ma portiers e cameriere evitano di solito le visite inutili nelle ore tra i pasti. Ma lì accadde la stessa situazione di quando festeggiava il suo compleanno nell’albergo a Nettuno, e la cameriera entrò nella camera dieci minuti dopo di loro. Solo quando se la trovarono davanti al letto, tutti i tre si resero conto della situazione. 

Istintivamente sentì, che il momento giusto non era arrivato ancora. Lei prese una maglia pesante e andarono a passeggiare. La giornata terminava, tirava l’umidità dell’autunno tardivo. Gli alberi si cambiavano, toglievano le foglie giallastre, poco più in alto e lontano si vedeva ancora il rosso smorzato dalla penombra serale. Nell’acqua increspata si poteva indovinare l’azzurro fondente nel grigio, spalmato dalle nuvole bianche, illuminate sui bordi. Il tutto insudiciato dopo i salti dei pesci baby e le corse frenetiche delle creature simili alle zanzare, sulla lastra d’acqua. 

- sento freddo, fai qualcosa…. Disse lei.

Lui si destò, si alzarono insieme.

- aperitivo?

- si, ma un tè, sono proprio gelata. Quando mi racconti qualche cosa di interessante non sento che m fa freddo. Andiamo. Sei un vero narratore

 Trovarono un bar aperto , era vuoto e mesto. Continuavano a parlare cordialmente di tutto e di niente. Il tè con rum girava nel organismo, distribuiva le calorie. Una terrificante musica scolava dalle casse sospese sotto il soffitto, nei angoli, Lui la chiamava vomit music e non riusciva ad abituarsi a sentirla. Per non vedere basta chiudere occhi o girare la testa, ma come chiudere o girare le orecchie? 

- stiamo vivendo nella pattumiera acustica, diceva spesso. In pochi lo capivano. 

Infine arrivò il momento di tornare al ristorante dell’albergo, l’unico aperto in questo paesecittà. Poche centinaia di metri a piedi. Furono i primi ed unici clienti. Ordinarono le pizze ed un litro del vino locale. Difficile avvelenarsi con una pizza, è una regola questa. Nel peggiore dei casi può rivelarsi indigesta. Subito arrivò il caldo e Lui, come un piccione dopo qualche grano di piselli, iniziò il corteggiamento abituale. Non è, che svegliasse un grande entusiasmo, ma non trovò un rifiuto, quindi la media fu media.

In buon umore, Lui sperando, tornano nella camera lugubre e fredda. Se si parla di piselli, le sue prime iniziative rimbalzarono come fanno i piselli buttati contro un muro. Lei fece la pipi, molto rumorosamente e desiderò da bere. Nella camera né frigo, né televisore, quindi queste tre stelle erano esagerate. Scesero nel bar di sotto. Prima grappa, seconda, forse terza. Primi giri nella testa. Primi inceppamenti di memoria.

- torniamo nella camera, devo sdraiarmi, mi sono svegliata oggi molto presto. Vab’be?

I suoi passi erano rilassati, scossi dagli impulsi della determinazione e le ricerche di un muro più vicino o di Lui che, d’altronde, ogni tanto vedeva doppio. 

Nella camera Carmen si buttò su letto.

- non mi sento bene, ho bevuto troppo. Ma mi fa molto caldo, divinamente caldo. 

Si avvolse nella coperta. I lunghi capelli neri le coprivano il viso. Lui la osserva in silenzio.

- E Tu dove sei? Non senti freddo? Dovresti bere qualche cosa di caldo, bere molto, fino al fondo bere, al fondo…. Interruppe il monologo lento. Lui si sedette al bordo, carezzò i suoi capelli, avvicinò la faccia alla sua.

- non mi toccare! Sono sporca ed ubriaca, sai che cosa significa una ragazza sporca? Tutte dovrebbero prendere la doccia due volte al giorno, una la mattina, un’altra la sera, Tu, sai veramente che vuole dire “ragazza sporca”? Ed ubriaca?

Parlava molto lentamente ed indistintamente. Si alzò bruscamente.

- devo prendere una doccia, subito, capisci?

Aveva vissuto già una situazione simile. A Bruxelles. Il fresco marito di una certa, della quale fu un po’ innamorato, anche con successo era rimasto molto lontano, non scriveva, non telefonava e si comportava lì, male.

Nonostante poi si ritrovo preso la moglie, mica si comportasse bene ed il matrimonio se aveva sciolto in poche settimane. Era la terza legittima unione di questa ragazza, molto carina, di meno di trenta anni.

Ma quel giorno, era venuta a casa sua per consolarsi portando e bevendo la vodka russa, in quantità industriale. La dose era imponente, dopodiché non si poteva ovviamente parlare più del ritorno, di guidare la machina o neanche se stessa. Quindi la rimorchiò al bagno ed aprì i rubinetti sopra la vasca. Quando, dopo un certo tempo, l’acqua smise di fare rumore e non sentirono altri chiassi, entrò nel bagno. La trovò vestita ed addormentata nella vasca piena d’acqua.

Adesso non voleva ripetere lo stesso scherzo acquatico, perché l’altra volta non è finita dopo il ritiro forzato dalla vasca, il svestimento forzato, ma almeno piacevole, ed asciugamento un po’ complicato, perché la giovane sposa aveva scoperto la vergogna collegata però con un pronunciato appetito sessuale. Un sacco di problemi insomma. Subito, e durante qualche settimane successive. Alla signora ha piaciuto d’essere asciugata, ma chiedeva di non utilizzare per questo l’asciugamano. 

Voleva anche ad incontrarsi con qualche altra persona, insieme. Quello, non era il suo sport preferito. Doveva fare la marcia in dietro. Peccato….

- tu aiuterò prendere la tua doccia, disse a Lei. Questa qua se svestirò prima il bagno, pensò..

Entrò nel bagno, aprì la doccia, sperando che l’acqua calda fosse prevista e che il vapore riscaldasse l’ambiente ghiacciato. Mise la testa sotto il rubinetto del lavabo per disubriacarsi. Dopo un po’ l’acqua calda venne realmente, ma Car×Fn no, forse non era ancora riscaldata….

 Apri la porta, il vapore esplode nella camera.

- veni, ti laverò la schiena, tu, sporca ragazza.

Lei si mosse sul letto.

- mica mi piace se qualcuno mi lava, pero nessuno mi aveva lavato fino ad oggi. Mi porti al car wash, ma senza spazzole, perché grattano…

- vestita?

- quale importanza, se uno vuole dormire. Neanche apre gli occhi. 

- aspetta.

Chiuse i rubinetti, tornò in camera. Prevedendo il diluvio nel bagno, si svesti. Si sedette sul letto. Tiro giù le calze. Il pavimento al fianco del tappetino bruciava del freddo. Un momento di riflessione: togliere o non togliere il boxer? Lo tolse.

- quindi mi porti, ma dev’essere caldo lì. Disse di sorpresa. 

La liberò dalla coperta, si mise sui ginocchi, passò le mani sotto il suo corpo, la sollevò. 

- pesi cinquanta due chili?

- non ti riguarda, sono una ragazza ubriaca con un tizio sconosciuto nell’albergo ignobile, questa è la verità nuda e cruda, e Tu mi lanci le stronzate di chilogrammi! La conosco Signore? 

La portò, totalmente distesa, nel bagno, la tenne perplesso, fino alla stanchezza tra le braccia. Gli facevano veramente male. Cinquanta chili ubriachi pesano davvero.

Prudentemente la fece sedere sul water, lei si appoggia contro il muro.

- prima si soleva il coperchio e poi ci si siede o ci si accoscia. Tu ti accosci o siedi? Parlò lentamente e con riflessione.

Lui aprì il rubinetto con l’acqua calda, ma solo per riscaldare e non inondare. Il vapore salì, si incollò sul soffitto, stanco di essere sempre umettato. Protestava lanciando giù pezzettini di sé stesso.

- Tu sei un uomo, vero? Sei o non sei? Forse lo fai diversamente?

Non si era ancora resoconto, che Lui le stava a fianco completamente nudo. Aveva proprio davanti alla bocca e agli occhi quello, che non la sembrava interessare. Anche Lui si rese conto, che la posizione era proprio adatta…. Ma niente. Lanciò il sospiro di desolazione.

- se devo lavarti la schiena, occorrerebbe forse svestirsi, osservò.

- sono una ragazza ubriaca, faccia ciò che vuole, questa è la verità. Ma senza spazzole!

Le toglie la prima maglia, la seconda, qualcosa di bianco, il reggiseno. Apre la porta, getta la roba sul letto. 

- dove hai imparato tutto questo? Che cosa farai ora? Perché io non mi alzerò. Aprì gli occhi. – davvero, Lei é un maschio, non deve sedersi. Ma come lo fa? 

Si animò improvvisamente.

 – fai vedere come lo fai! Ora guardò con curiosità proprio questo. Ma non toccò. 

Lavorare il ferro quando è caldo!. L’alcool , più di queste sue fandonie, e seni graziosi lo metteranno in uno stato di prontezza.

- Ooo! Vede la differenza lei. Alzò la mano come volesse prendere qualcosa, ma lo sforzo era troppo grande. Rimane immobile. 

- adesso toglieremo questi di sotto e poi riguarderemmo, annunciò Lui. Non si difese, quando le tolse i pantaloni con le calze. Li mise sul lavabo. 

- ed ora l’ultimo Mohicanin, disse Lui.

- non sono così sicura che mi piacce tutto questo. Una donna onesta non si spoglia davanti ad un tizio sconosciuto ed io sono ubriaca. Sono o non sono? Questa ultima frase la disse troppo forte.

Lui non reagì.

- quindi togli, fratello, quello che è rimasto ancora.

- hai un fratello? Non sapevo…. Quando si spoglia una ragazza, si deve sempre parlarle; così è più calma e gira l’attenzione da alcune sorprese che non controlla bene.

- neanche io lo sapevo. 

Sedeva ora sul water, giovane, graziosa, nuda. Lui si dilettava di quest’immagine. Lei appoggiò la testa sulla mano. Adesso era seduta con il busto eretto.

 - allora, insomma, come lo fai tu? Lo tieni con la mano o lo lasci libero? Mostralo alla ragazza ubriaca. Io non mi muovo di qua, se vuoi, puoi lavarmi, ma fammi vedere prima!

Lui provò a spiegarle:

- sai, la natura ci ha fatto in quel modo, che se siamo così, come me in questo momento, alcuni condotti si bloccano. Occorre aspettare un pò. Deve diventare piccolo e morbido…

- non vuoi, proprio non vuoi, perché ti vergogni! Vergogna di me? Perché sono ubriaca? Ti do io l’esempio come piscia una ragazza!

Si ritirò in dietro, inclinò la testa, sparpagliò i primi pelli e poi i primi argini. Lui osservò che erano pieni e molto scuri. Lei si concentrò. Lui prese il suo nella mano, iniziò i movimenti lenti. Guardò i suoi sforzi. Passò tempo fino a che la prima e unica chiara goccia scivolò sul legno bianco.

- non riesco… forse anche io ho qualcosa di bloccato? Vieni qua, più vicino, ancora di più. Siediti davanti a me, o, così, come fosse un cavallo. Sai montare un cavallo?

Lui obbedì, la posizione era stretta e scomoda. Il cesso era piccolo e bascolava pericolosamente. Lei si sollevò e gli cadde pesantemente sopra. Ha mirato proprio bene.   Lui si senti subito dentro. Era già pronta? La tiro più su e più vicino. Senti il suo fondo umido ed elastico. Era stretta ma non al punto di accelerare inutilmente le cose. Cominciò a muoversi lentamente.

- gli sbaciucchiamenti non ci saranno, sono una ragazza sporca e ho sporcato il water. Tu ti sei sbloccato? Allora fammi vedere!

Appoggiò la testa sulla sua spalla. I capelli erano umidi. Odorava sempre di alcool. 

- ora dormirò, non mi svegliare. Non ti muovere!